Intervista a Roberta Cadorin, in arte Cobrizo, con cinque illustrazioni ispirate a Measachair

“Quando ho deciso di aprire questo blog e cercavo un nome, mi trovavo seduta al mio tavolo da disegno, accanto al cavalletto e ai colori. L’occhio mi è caduto su un tubetto di “emulsion extrafine”, n. 201, tonalità rame perla, definito anche iridiscent copper, cuivre perlé, perlkupfer e, appunto,cobrizoperla. (…)
Cobrizo, per i lettori e comunque Roberta, per tutti.
Ma vi prego, no, non Cobrizio, Combrizo, Corbizo…

E’ complessa, Roberta, ed estremamente femminile in ogni sua espressione.
Ed ora, che tag metto sotto al titolo? Come la introduco? Ancora mi ricordo il primo post che mi colpì (la gamella del restauratore), è necessario spiegare perché? Mostro che gran bella donna è o lascio il mistero e punto tutto sull’ironia che tanto le appartiene, utilizzando quest’immagine?

Chiedo a lei e lei gioca, forse è timida, più di quel che sembra.
Le invio le domande via mail e seguono ciàcole, risate, battute irriferibili, cose di donne. E infine loro, cinque tavole ispirate al nostro progetto, e questa volta resto io senza parole ed emozionata, anche se fingo una certa freddezza – sì ok non mi riesce, e allora?
Indefinibile Cobrizo, tutta strana questa intervista. E allora la faccio incominciare al contrario, perché a Dimmi chi sei, cosa fai? ci impianteremmo come statue di sale.

Roberta, regalaci una sedia della tua vita.
Potessi ve ne regalerei due, le prime che dall’infanzia mi sono sopraggiunte alla mente. Più che sedie vere e proprie, son sedute e pure in movimento.

Caregheta d’oro, che porta el me tesoro
che porta el me bambin
caregheta careghin.

I veneti comprenderanno bene il testo, per tutti gli altri sarà sufficiente spiegare che è una filastrocca dialettale che mi sentivo cantare da bambina dai nonni (o chi per loro) che intrecciavano le loro quattro mani, afferrandosi vicendevolmente i polsi, creando così un piccolo scranno che alzavano ed abbassavano a ritmo facendomi volare in alto, in aria…

Cobrizo per Measachair

La seconda seduta che ricordo con altrettanta tenerezza e nostalgia è quella sul bastone della bicicletta, attorno al quale il nonno paterno avvolgeva un cuscinetto, legato alla buona con lo spago, e con cui andavamo in latteria a comperare il formaggio fresco.

Hai pescato i tuoi ricordi nella lingua, nell’infanzia, nella tenerezza femminile. Ti si addice molto. Mi viene in mente una tua illustrazione sulla maternità. Una donna in attesa è una sedia superavvolgente, evidentemente. Tu hai un figlio già grandicello. Che sedia-madre sei, ora?

Oh, sì, è vero. Il ventre materno è una confortevole sedia, anzi, un comodissimo caravan direi, superaccessoriato! (risata) E’ l’unico caso in cui concepisco un “individuo-sedia”.

Se devo essere sincera, non mi pare di avere uno spirito materno molto spiccato, ma senz’altro ricordo il periodo della gravidanza come uno dei più belli della mia vita. Dolce e forte assieme, con una grandissima carica ed energia a 360°, anzi, a tutto tondo!
Giacomo ormai ha otto anni e onestamente io credo di essere una mamma piuttosto severa, ma quello che ci salva è proprio l’opportunità che giornalmente ci offriamo – o ci imponiamo?! –  (risata) per smussare il nostro carattere confrontandoci l’uno di fronte all’altra… con lealtà, ma anche con doverosa leggerezza.
Un figlio è indubbiamente il progetto più difficile ed ambizioso della vita, tanto che più lui cresce e più si ripete quello che sempre è accaduto con i miei quadri e i miei disegni: stento a riconoscerlo come un merito mio, ma mi sento solo un privilegiato tramite.
Non mi sento una mamma-sedia, tutt’al più una mamma-sgabello, fintanto non “raggiungerà l’altezza” che gli necessiterà per essere indipendente.

Cobrizo per Measachair

Che impatto ha avuto la maternità sulle tue scelte professionali? Sei architetto, grafica, illustratrice, creatrice di gioielli, blogger. Cambi continuamente sedia e sembri seduta con classe ovunque, perché?

La maternità su tutte è stata sicuramente l’evento più rivoluzionario nella mia vita. Mi ha davvero regalato creatività e maggior fiducia in me stessa e nella mia forza creativa. Ovviamente, come tutte le mamme, ho dovuto fare i conti con priorità che son mutate, ma ho beneficiato di aver spostato fortunatamente il punto dell’attenzione e dell’ascolto fuori da me stessa. Un’eccessiva sensibilità può altrimenti condurre talvolta ad un ripiegamento eccessivo in se stessi, penso.
Avendo avuto la fortuna di poter seguire a lungo mio figlio da piccolo, è cresciuto in me un desiderio incontenibile di dare ascolto alla mia altra natura scalpitante. Avevo la necessità impellente di incanalare la mia energia creativa su altri fronti. Ho spesso il difetto di essere dispersiva, ma occuparmi di un’unica cosa mi annoia molto. Ho assolutamente bisogno di imparare e sperimentare cose nuove e diverse e questo desiderio non scema negli anni, anzi!
Essendo però un’autodidatta in tutti i contesti, purtroppo i miei tempi di comprensione e rielaborazione sono spesso lunghi e tortuosi. Con la maturità sto cercando di essere più costante.

Cobrizo per Measachair

Anche come blogger sei sfuggente alle definizioni. Non ti appiccicherei l’adesivo “foodblogger”, per esempio. Però a tavola le sedie si trovano bene, perciò dedichiamo un po’ di spazio anche a questa tua attenzione verso la cucina.

Sì, l’ho sempre detto da subito: non sono una foodblogger anche se amo la cucina. Le mie, nel blog, non son neppur ricette, direi. Sono spunti… sì, pari a schizzi in fondo, come per il disegno. Quando comprendo che è fattibile, mi piace andare oltre. Le foto e i testi pubblicati mi servono solo per ricordarmi che ne son stata capace, che quella cosa fa parte di me, ma si può migliorare. Se poi può servire ad altri, ne son ancor più contenta.
Ho sempre avuto una relazione col cibo davvero singolare, sin da piccola. No, non parlo di una bambina che faceva i biscotti con la sua mamma e già giocava a fare la cuoca. Tutt’altro…

Ho cucinato davvero tanto nella mia vita, sin da adolescente, e paradossalmente ancora di più fino a prima dell’apertura del blog. Ora che ho compreso alcuni meccanismi tecnici e miei personali mi interessa un pochino meno o comunque ho gusti più selettivi.
In generale sono sicuramente una blogger golosa e pasticciona, questo sì. Golosa quindi di cibo – di un certo tipo – ma anche di colori, di carta, di parole, di immagini.
Il blog mi ha insegnato ad essere più ordinata, costante e disciplinata, ma sempre mantenendo vivi la libertà ed il piacere del caos che mi chi conosce bene sa essermi inguaribile e necessario. In fondo il blog è nato anche un po’ pensando a mio figlio, a cui volevo intimamente spiegare una parte di me… Fino ad un po’ di tempo lui fa faticava a capire cosa facesse la sua mamma. Ora credo abbia ancora molta confusione in merito, come me del resto, ma è affascinato dall’idea di vedere gli originali su carta crescere sul mio tavolo e poi riconoscerli sul video o sulla carta stampata.

Cobrizo per Measachair

Sei coinvolta sul web in un progetto collettivo moto interessante. Parlaci di Salutiamoci…

Prima di tutto l’indirizzo: lericettedisalutiamoci
Salutiamoci è un’iniziativa che parla di cibo concreto. E’ un’idea nata con Brii Bergvagabund e Lorenza Minonzio, foodblogger che mi hanno coinvolta in un progetto che ruota intorno al principio di un’alimentazione semplice e sana, fatta di pochi ingredienti e sapori naturali. In questo momento storico non si fa che vedere e sentir parlare di food; siamo assediati da un vero e proprio accerchiamento ossessivo culinario che dimentica però il fine primo ed ultimo del cibo stesso: la vitalità e la salute, oltre all’ovvio piacere del palato e della condivisione. Salutiamoci è un gioco a cui può partecipare chiunque, blogger o non. Ogni mese lanciamo un ingrediente stagionale ed invitiamo tutti a lavorare di fantasia per creare ricette a tema: poche regole, ma precise, affinché tutte le ricette raccolte rispondano a requisiti precisi. E’ un gioco ma si fa sul serio! E se le regole possono sembrare di prima acchito rigide, è ovvio che lo spirito non deve essere punitivo né integralista. Entro limiti stretti è proprio la fantasia che deve attivarsi! Ci vuole una pausa, secondo noi, anche intorno al discorso “food”. Ci sediamo un attimo allora? (risata). Riflettiamo, riassaggiamo, sottraiamo, con misura e buon senso? Senza fanatismi ma con maggior consapevolezza.

Io poi mi diverto pure a disegnarci e a scherzarci sopra…

Mi piace molto l’idea di rete trasmessa dal progetto Salutiamoci: un’allegra collaborazione al di fuori delle solite logiche di sponsor e contest. Quasi come ai vecchi tempi dei blog per hobby, ma con una visione organica ormai professionale. Come ti descriveresti come blogger?
Hai ragione, dietro a Salutiamoci sta crescendo una rete di persone attente, disponibili, con molta voglia di conoscere e condividere, spassionatamente.
Purché presa e gestita con oculatezza, anche a me la rete sta regalando preziose amicizie sia professionali sia di piacere che mai avrei colto. Salutiamoci è senz’altro una di queste.
E’ un modo per riflettere sul vero sapore del cibo, sul valore del benessere, cercando di conoscere ed evitare gli inganni dell’industria alimentare. Per noi adulti e per i nostri figli a cui dobbiamo per primi dare un buon esempio. Finora abbiamo raccolto più di 800 ricette!

Roberta e le arti visive. Lì non stai seduta, no, si vede che sei in cammino. Qual è il tuo percorso, quali sono i tuoi punti di riferimento? E i tuoi obiettivi?
Sono una pigra, ma il mio animo è inquieto, per fortuna, quindi mi spinge a muovermi e a costruire. Anche se le mani purtroppo sono più lente del pensiero e del cuore, mi piace e mi diverte rincorrermi e pungolarmi. Mentre lavoro, seduta, sono sempre molto scomoda e scomposta… Sentirmi in bilico mi aiuta a rischiare.
Per quanto riguarda il cammino, con l’età sto imparando a non crearmi aspettative, ma a gustarmi invece il percorso. Questo approccio automaticamente mi sta facendo cogliere tante opportunità impreviste ed emozionanti.
I punti di riferimento e i modelli sono tanti. I veri maestri sempre troppo pochi sfortunatamente, ma grandi e generosi.
Vorrei tanto potermi conquistare e meritare i loro insegnamenti e non esserne solo una brutta copia.
L’illustrazione per me è un’esplorazione, una caccia al tesoro. Vorrei proseguire senza barare.

Cobrizo per Measachair

Una sedia ti ispira?

Mi ispira una pausa, una riflessione nel lavoro, ma anche un momento di piacere solitario con una matita in mano o di condivisione in compagnia con un bicchiere di vino e qualcosa da sgranocchiare.
E’ un oggetto funzionale, ma che accoglie una parte anatomica così sensuale in fondo… Non posso dimenticarlo.
Conosci la S-chair di Tom Dixon? Non trovi sia flessuosamente femminile?

In casa abbiamo molte più sedie che mobili, ora che mi ci fai pensare… ed uno dei primi regali che ricevetti da bambina fu davvero una seggiolina in vimini. La adoravo: era un nido per me.
Sono così belle le sedie, immobili, silenziose, ma piene di vita.
C’è una poesia di Nazim Hikmet che ti ho segnalato qualche giorno fa, che dice “le sedie dormono in piedi”.
Noi ci lavoriamo, ci riposiamo, sì, ci facciamo di tutto con loro e loro sempre pronte ad accoglierci a tutte le ore e per ben più di una nostra vita intera. No, non esistono individui altrettanto accoglienti!

Info:

cobrizoperla.blogspot.it
> tag “sedie” sul blog
> lericettedisalutiamoci

2 pensieri su “Intervista a Roberta Cadorin, in arte Cobrizo, con cinque illustrazioni ispirate a Measachair

I commenti sono chiusi.