
non so disegnare, lo so
Come quando incontri un’amica dell’università dopo vent’anni, condividi una pausa pranzo e un certo numero di progetti da curare come bambini ed è un attimo, siete sempre quelle due sul copricalorifero di marmo nel lungo corridoio della Cattolica, lì un poco ansiose a calcolare quante pagine mancano per finire il libro di linguistica.

la sedia primordiale
Come quando una domanda bizzarra – e tu che sedia sei? – accende una conversazione e porta idee, riflessioni, incontri e cambiamenti, e tu che eri sedia seduta e pure un po’ legata sei ora spesso una poltrona di treno e incontri persone di tutte le taglie, loro sedute o sdraiate e tu a cambiare nervosamente posizione, un po’ su e un po’ giù e un po’ traversa, al solito dai, e ti senti sempre bizzarra e precaria e in qualche caso scomoda, solo che ora non ti devi più giustificare. Quasi mai, via.

me as an haiku
Come quando la ragazzina più ragazzina di tutta la classe che hai di fronte, quella che di profilo e nell’anima ha già un’inquietudine da tredicenne mentre i suoi compagni di quarta elementare le ridacchiano intorno un po’ babbei, e lei – scansando l’immaginario nutrito a unicorni e rovazzi e telefilm – se ne esce sillabando un Pensiero Frau. E non sa niente di Measachair, lei, ma ti ha fatto il ritratto.

la mia nuova sedia è verdolina
Come quando ti riguardi nella foto che ti hanno scattato ieri e ti torna in mente un vecchio amico, questo blog silenzioso e affidabile come una stampella. Eccola, la tua sedia, ora. Tradizionale, semplice, colorata. C’è ma non si impone. Che fai, quando una sedia ti parla? La rimandi? La appunti qui e te la dimentichi di nuovo per mesi? Hanno ancora senso i blog? Passa ancora qualcuno di qui? E chi ultimamente ti ha conosciuto per gli haiku e si è sporcato le mani d’inchiostro insieme a te nei laboratori espressivi, avrà voglia di sfogliare queste pagine?

sono bambini o ideogrammi? e soprattutto, perché a tutti piace scrivere pancia a terra?
Lasciamo tracce, consapevolmente o no: ogni volta che ci incontriamo, ogni volta che qualcuno si ferma per causa nostra. Chi ha consapevolezza di ciò, si dà un gran daffare e un poco di arie. Alcuni presuntuosi pretendono perfino di chiamarlo lavoro.
In ogni caso, eccoci tutti (s)comodi sulle sedie e sui pavimenti, aspettando che accada qualcosa. Visti dall’alto, non siamo che minuscoli ideogrammi disegnati a china. Speriamo almeno di esprimere un pensiero sensato. Anche uno solo, piccolo.
mondo di rugiada
in mezzo alla rugiada
tante guerre
Kobayashi Issa 1763-1828
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