L’idea del ciclo di interviste #measachairEDU ha la sedia della scuola come fulcro, con possibilità di divagazione in puro spirito Measachair per poter offrire ritratti umani a tutto tondo.
L’intento è quello di fornire spunti di riflessione sulle molteplici idee ed esperienze legate al mondo dell’apprendimento e dell’educazione. Con calma, bevendosì dei gran caffè virtuali insieme, e senza pregiudizi. Ragionare in astratto mi annoia, perciò ho optato per una scelta precisa: partire dai vissuti individuali, allargare l’orizzonte osservando gli stili educativi possibili e le situazioni concrete, ascoltare anche le voci oltreconfine.
Oggi si accomoda Claudia Dallabona, italiana un po’ qua un po’ là, ora in Sudafrica.
Iniziamo con la domanda di rito. Siediti e dicci: Chi sei, che cosa fai?
Innanzitutto sono l’emblema di quello che i tedeschi chiamano “Treppenwitz”, cioè le battute o le risposte che ti vengono dopo, in ritardo, quando sei già sulle scale di casa. So già che domani mi verranno risposte brillanti e spettacolari. Chiaramente, quando questa intervista sarà già pubblicata.
Non lo so, chi sono. Sono troppo complessa, probabilmente. O, forse, non voglio piu’ identificarmi con il mio lavoro. Diciamo che, negli ultimi nove anni, per seguire mio marito e tenere la famiglia unita, ho traslocato in tre nazioni diverse (con tre lingue diverse, aaargghh). Ed ho smesso di sbattere la testa contro il muro cercando il “mio lavoro” di quando vivevo in Italia.
Il percorso sulla strada del “non confondo chi sono con quello che faccio” è ancora lungo e tortuoso, ma ci provo. Quel che è certo è che, se non faccio uscire la parte creativa (e ancora forse troppo intellettuale) che è in me, il rischio di implosione è molto alto.
Dalla scuola materna in Germania
Qual è la sedia di casa? Dove consideri “casa”?
Ho sempre avuto difficoltà ad avere una casa. Non ho mai sentito l’esigenza di arredare o di abbellire il luogo in cui mi trovavo a vivere.
Anche dopo aver incontrato mio marito non è cambiato molto: a lui basta l’essenziale per la sopravvivenza, tutto il resto è superfluo,tipo le tende, un tappeto o la mensola porta spazzolino nel bagno. A me non dispiacerebbe, ma penso sia questione di priorità. Quando arrivo in una città, prima di tutto c’è da trovare casa, poi la scuola per nostra figlia, e poi dove poter comprare del cibo vero… magari anche un bravo medico, un dentista, un meccanico e tutto il resto. Alle fine un giorno ha 24 ore, e se devo decidere tra andare a visitare un mercato di contadini locali e portare mia figlia a teatro o finire in un centro commerciale gigante per cercare un pezzo di arredamento, non ho dubbi.
un flash mob del Joburg ballet in un centro commerciale in costruzione
Con gli anni ho imparato a viaggiare leggera (non a caso era il titolo della mia rubrica sul blog Il pastonudo); un giorno, quando troveremo il posto in cui fermarci, probabilmente mi dedicherò alla casa, e a darle quel tocco di “Geborgenheit”, come dicono i tedeschi, quell’idea di calore, nido, accoglienza. Ogni tanto mi spiace un po’ per nostra figlia, e so già cosa direbbe uno psicologo del fatto che lei adori i camper e sogni di averne uno come casa.
Sedia di casa…mmm… abbiamo due sgabelli alti, di vimini e ferro, di quelli da bar, regalo di una amica. Mi mettono di buonumore ogni volta che li guardo, e mi confermano quanto dice il feng shui: siamo legati agli oggetti da fili invisibili di energia. Per questo cerco di avere poche cose, ma che mi piacciano o che mi ricordino persone con una buona energia.
Durban, sedie con vista
La seggiolina in miniatura, quella della scuola, ti suggerisce…
Non sono mai stata molto brava a star seduta composta (e ferma) su una sedia. Non mi piaceva, era scomoda, rigida. Non ricordo molto, però, di quando ero a scuola. Se dovessi stare ora seduta per ore su una sedia come quella, probabilmente lo troverei più faticoso che non risolvere gli esercizi o fare i compiti. So che preferivo stare sdraiata a pancia in giù sul pavimento a leggere e scrivere, e non seduta su una sedia.
Claudia e Anna
Che opinione hai dell’homeschooling?
Ci era stato consigliato dalla responsabile di un ufficio pubblico scolastico della mia città, quando seppe che ci trasferivamo qui, visto la situazione della scuola pubblica sudafricana.
Ma non abbiamo avuto dubbi. La cosa più importante in assoluto, per noi, era dare a nostra figlia la possibilità di imparare a vivere con bambini diversi, per cultura, lingua o carattere. Che imparasse a staccarsi da me e da suo padre, e che diventasse in un certo senso autonoma nel risolvere problemi di convivenza e di socializzazione con altri bambini.
Anna e un’amica.
Le situazioni che si è trovata ad affrontare in classe e a scuola noi non avremmo potuto regalargliele. Anche situazioni potenzialmente “negative” si sono rivelate spunti utilissimi per discussioni in famiglia. Ha avuto una maestra che urlava e strappava le pagine dei quaderni dei bambini quando non scrivevano nel modo giusto. Non è sempre stato facile, ma da ogni esperienza abbiamo imparato qualcosa, tutti e tre. Anche da una maestra che, evidentemene, ha sbagliato mestiere. Perchè è un esempio concretissimo di cosa succede se non si riconoscono i nostri talenti, ed i danni che si possono fare a se stessi e agli altri quando si accetta un lavoro per paura o convenienza, e non per passione.
Abbiamo sempre pensato che la scuola non fosse altro che una sorta di “società in miniatura”, un riflesso di quello che poi si troverà ad affrontare fuori.
il kindergarten tedesco e il suo carrettino portabimbi
Trasferirci in Sudafrica, il paese arcobaleno per eccellenza, con tante culture diversissime che finalmente possono convivere sullo stesso piano, con undici lingue ufficiali (più tutte le altre), con le principali religioni del mondo nella stessa città, e poi non mandare nostra figlia a scuola, sarebbe stato per noi un controsenso.
Nella classe di nostra figlia ci sono quindici bambini. Si parla: inglese, tedesco, spagnolo, italiano, afrikaans, zulu, francese, libanese, bulgaro. Ci sono cristiani cattolici, luterani, ortodossi, musulmani, atei e forse anche altro (mi perdo anch’io, ogni tanto, tra questa moltitudine). Per non parlare delle altre classi.
Come avremo potuto noi darle una ricchezza come questa?
A me sarebbe sembrato un atto di estrema presunzione, quello di passarle solo il mio punto di vista, la mia cultura, i miei valori, e precluderle la possibilità e la gioia immensa di conoscere l’altro da se’, l’altro da noi.
È lo stesso motivo per cui, appena arrivata, mi sono innamorata dello sleepover, l’abitudine che hanno i genitori di lasciare che i bambini trascorrano il week end a casa di un loro amico. In Italia molti trovano scuse del tipo non mi piace suo padre, mangiano schifezze, vanno a dormire troppo tardi, etc. Qui sono tutti molto più rilassati, e sanno che un’esperienza come questa ha solo effetti positivi, alla fine, sia sui bambini che sui genitori (finalmente soli!).
le jacarande in fiore a novembre, “che tutto è viola e verde come un trip”
Quando è stata l’ultima volta che hai imparato qualcosa di nuovo?
Adesso, mentre rispondo a queste domande.
L’esperienza della multicultura come influisce su di te? E tu, quale apporto dai al tuo contesto multiculturale?
Beh, ho già spiegato tutto quando ho risposto alla domanda sull’homeschooling, suppongo.
Per di piu’, ho sposato un tedesco! Una cultura piu’ distante dalla mia non potevo sceglierla!
Ci regali una sedia della tua vita?
Adesso che siamo alla fine, ti devo rivelare che non amo le sedie. Amo i divani, le amache, i letti, i tavoli, ma non le sedie. Però adoro i tessuti che rivestono sedie e poltrone. Infatti, per le mie creazioni di stoffa, siano esse giocattoli, borse o collane, uso quasi solamente tessuti naturali destinati agli arredatori d’interni.
Ecco, se me la passi nella categoria “sedie”, potrei scegliere un’amaca. Ne ricordo una bellissima, bianca e blu, con dei ricami di pizzo ai lati, nel giardino di amici quando abitavamo ancora a Greifswald, sul mar Baltico. Avevo partorito da poco e, mentre la bambina si divertiva in giardino, io riposavo dondolando.
Bellissima l’idea questa rubrica, simpatica intervista e risposte istruttive!…e complimenti per il blog 🙂
Sono giunta qui grazie a Claudia che consoco (per ora purtroppo solo via web) da tempo. Abbiamo alcune cose in comune come il Baltico (un tuffo al cuore la foto con i “Strandkoerbe”!), la curiosità oceanica, la voglia di creare…, …, …, …, …, …(e qui mi fermo).
A casa abbiamo diverse sedie fatte a mano dal nonno di mio marito… non sono proprio di mio gusto… ma mai le darei via. Spesso penso alla fatica e l’ abilità per farle nascere. Ovviamente sono robustissime, hanno visti tante soffitte e parecchi traslochi… sembrano proprio eterne 😉
Ciao Sabine, benvenuta!
Hai fatto caso a come spesso le cose in casa che sopravvivono non rompendosi mai (e quindi non fornendo scuse ufficiali per l’eliminazione) sono quelle che non piacciono? Noi abbiamo dei piatti ereditati orrendi e indistruttibili… Ora sono curiosa di vederle le tue sedie robustissime…Se ti va mi puoi caricare la fotografia sulla pagina fb: https://www.facebook.com/pages/Measachair/359317914101661 e se ti iscriverai potrai seguire anche le altre interviste della serie EDU…più tutto il resto. Sempre se ti va : )
Silvia, Sabine non e’ in facebook, ma tanto potra’ leggere le altre interviste qui dentro, no? 🙂
Tra l’altro, il suo blog e’ delizioso, specialmente per noi mamme. Una miniera di informazioni, e la febbre, e il sistema immunitario, e le abitudini a tavola… secondo me ti piacera’ moltissimo. Beata te che puoi andare a vedere dal vivo una delle tante iniziative a cui partecipa o che organizza (Emilia Romagna e dintorni)
Ragionavo poco fa con Roberta che mi era proprio stato segnalato da lei il suo sito!