Diversi segnali mi stanno dicendo di visitare Palermo e prima o poi accadrà.
Mi coglie ora improvviso anche un flashback: quando ero bambina le arance siciliane erano spesso incartate e le carte erano sempre diverse, colorate e scrocchianti. Non le ho mai collezionate (ora lo farei, forse) ma ci giocavo a lungo, le re-impiegavo. Erano gli anni settanta e non andava ancora di moda parlare di riciclo e laboratori e nemmeno dei più volgari ‘lavoretti’. Ma erano belle in quanto pensate, questo lo percepivo, e quindi me le rigiravo in mano con allegria. Fine del ricordo personale.
Per ora, Palermo me la faccio raccontare dagli amici e soprattutto da Carmela. Mi sembra che le sue Edizioni Precarie assomiglino un poco alle sedie, le sedie di strada che tutto ascoltano e a tutto servono, fondamentali in alcuni momenti e subito dopo accantonate, dimenticate. E se la similitudine sembra forzata o la vedo solo io poco importa, dovevo pur trovare una scusa per poter trasmettere tutta questa bellezza. Parola di sedia precaria.
Siediti e dicci chi sei, cosa fai?
Sono Carmela, sono seduta su una di quelle vecchie sedie di legno che si trovavano un tempo nelle taverne, un amico me le ha regalate, erano di suo nonno e sono qui un po’ scricchiolanti, mi piacciono molto. Cosa faccio? Aggiungerei cosa faccio adesso. Incarnando la precarietà che è tipica di questi tempi, ho fatto, come i miei coetanei, mille cose nella vita, dal teatro allo studio dell’architettura, dalla cameriera alla progettista, all’animatrice, alla recepsionist, alla giardiniera urbana e così via. Adesso da poco più di un anno, realizzo le Edizioni Precarie, una sorta di piccole edizioni, di quaderni e di buste da lettera fatte con le carte usate per avvolgere gli alimenti nei mercati e nelle vecchie botteghe del centro storico di Palermo.
Sono tre le cose che mi hanno colpito di questo progetto: l’idea della precarietà, le sensazione materiche regalate dall’oggetto in quanto tale, la scelta di carte che raccontano una storia per realizzare quaderni su cui verranno scritte altre storie. Forse lo vedo solo io, il paragone con le sedie – oggetti a volte traballanti, da toccare, medium di racconto – ma non è importante. Piuttosto, ci racconti i presupposti del tuo progetto?
Edizioni Precarie è una miscela di artigianato e di ricerca delle forme e degli oggetti adatti a raccontare. Insomma una ricerca grafica che io chiamo entografica. E’ un uso improprio di questa parola però mi viene da pensare che il progetto Edizioni Precarie parte proprio dall’osservazione della cultura circostante e la racconta utilizzando un linguaggio altro, quello della forma, in questo caso della forma libro o quaderno. Leggo e trascrivo dal web la definizione di etnografia:
Fare etnografia significa recarsi tra coloro che si vuole studiare per un certo periodo di tempo, ed utilizzare alcune tecniche di ricerca (come l’osservazione o l’intervista) allo scopo di collezionare un insieme di dati che una volta interpretati, rendano possibile la comprensione della cultura in esame. Riti, rituali, cerimonie, norme, valori, credenze, comportamenti, artefatti, sono i principali fenomeni di interesse dell’etnografo, attraverso i quali la cultura si rende intelligibile. Etnografia dal greco: ethnos (έθνος) – “popolo”, e grapho (γράφω) – “scrivo”; letteralmente significa “descrizione del popolo” e detta anche scienza del popolo.
Insomma le Edizioni Precarie ricercano nel quotidiano e nella cultura palermitana il concetto di precario, inteso come realtà in mutazione, instabile, che sta per scomparire. E tra le realtà precarie che vuole raccontare c’è quella dei mercati storici di Palermo con i loro rituali, i loro personaggi, le loro microstorie.
Quanti tipi di carte hai catalogato? Riesci a descriverci le sensazioni tattili di quelle che utilizzi maggiormente?
I tipi di carta che ho catalogato sono tantissimi, ho cominciato quando sono arrivata a Palermo, ormai più di quattro anni fa e mi sono accorta di questa usanza tutta palermitana di avvolgere ogni tipo di cibo con una carta specifica e diversa. La ricchezza dei prodotti venduti si traduceva nella varietà di carte utilizzate. Una cultura che ha radici profonde nella storia, mi parve subito questa dei mercati. Carte oleate, stampate, ruvide, lucide, rugose, trasparenti, coi soli dorati, odorose. Le sensazioni tattili ma anche olfattive, visive e uditive che provo, variano, però quello che si sente sempre molto forte è la matericità, ed è impressionante dopo anni di studio e di progettazione al computer, la forza che può avere l’iniziarsi al lavoro manuale, ad un lavoro che ti spinge a toccare, ad ascoltare il fruscio della carta, quando la pieghi.
Ho iniziato ad andare al mercato a comprare il pane, la frutta, i formaggi solo per poter poi tenere la carta e ho sempre pensato che avrei voluto farci qualcosa, raccontare la bellezza di un materiale così povero ma allo stesso tempo così ricco di storie. Insomma è stata una genesi lunga e ancora il progetto si sta strutturando e sta prendendo forma. Devo dire che sono stata a lungo in crisi, perché una volta terminata la laurea in architettura, pensavo che la forma fine a se stessa non mi interessava e anche se la grafica, il disegno, il design mi hanno sempre attratta, li trovavo sterili contenitori di vuoto, vivevo sempre questo conflitto pensando che avrei dovuto fare qualcosa di utile e non di bello. Con Edizioni Precarie sento di aver cominciato ad unire le due cose, ora faccio qualcosa che mi piace e che penso sia utile, raccontare. Quando ci sembra necessario raccontare una storia lo possiamo fare con mille linguaggi diversi bisogna solo trovare il proprio. Per me, la forma e il materiale possono essere strumento per raccontare al pari della parola. Adesso anche gli amici mi portano carte che a loro piacciono e che trovano nei loro viaggi in qualche parte del mondo.
Che storie hanno ascoltato quelle carte prima di diventare raccoglitori di parola scritta?
Le carte alimentari dei mercati sono fortunate perché vivono in mezzo alla veracità, forte e violenta del popolo palermitano. In mezzo alla lagnusia (pigrizia), alla povertà, al lamento, alle urla (abbanniate) dei venditori, in mezzo agli odori buoni e cattivi, tra la freschezza e la decomposizione. Vedono una varietà infinita di colori, tanti quante sono le squame dei pesci e i frutti di stagione esposti sui banchi. Sono carte che vengono prese da mani sporche, vengono arrotolate a cono per fare il coppo al cui interno verrà messo il cibo da portare a casa. Io le prendo intonse, nelle botteghe dei venditori di carte al mercato, quelli che vendono le carte al kilo ai negozianti. Le compro tutte, infatti i venditori di carte un po’ si stranivano all’inizio, non capendo da dove venissi e cosa vendessi. Le compro non ancora sacrificate al cibo, le piego con cura, come fossero carta pregiata e ci faccio quaderni che delle storie del mercato si portano dietro la materia di cui sono fatti. L’eco delle urla dei venditori.
Scherzando con un amico è venuto fuori che sono quaderni da urla, non da urlo. Qualcuno prendendo in mano i quaderni non riconosce le carte pur avendole mille volte portate a casa arrotolate attorno a delle fettine di carne,per esempio, ed è questo scarto tra l’uso abituale e l’uso diverso dello stesso oggetto che d° forza alla riflessione sul significato che noi diamo alle cose e su come basti guardare con occhi diversi per riscoprirle. Mi piacerebbe che la gente di Palermo guardasse con meraviglia e stupore i mercati e si decidesse a fare qualcosa per evitare che vadano in malora, come è già accaduto per il mercato della Vucciria. Le guide turistiche ancora parlano di questo mercato, ma ormai non esiste più, andare a visitarlo significa andare a visitare un malato terminale.
Com’è stato accolto il tuo progetto? Chi compra i tuoi oggetti?
Il progetto è stato accolto con grande calore, con affetto. Mi è piaciuto andare a Milano ad Aprile, per partecipare ad una fiera di microeditoria molto interessante che si chiama appunto MICRO e scoprire: uno, che a Milano è difficile trovare un milanese che non abbia almeno un genitore calabrese o pugliese o che non sia lui stesso emigrato al nord in cerca di lavoro. E due, vedere persone che si fermavano a guardare le carte con stupore, a toccarle, annusarle, chiedendomi da dove vengano, per finire poi io ad ascoltare le loro storie di emigrazione e di nostalgia.
Ora questo non vuole essere un progetto nostalgico, è solo che mi ha colpito osservare il potere evocativo che hanno alcuni oggetti, che ci possono far viaggiare con la testa e con i ricordi. Anche a Palermo le persone sono molto incoraggianti e solidali con il progetto. Ho cominciato con dei piccoli mercatini organizzati al Co–working Re Federico, dagli amici di Planbè. mercatini frequentati soprattutto da amici che hanno visto crescere il progetto e sono stati i primi a comprare e a sostenere l’idea.
Mi piace il fatto che anche chi li compra ci metta sempre una nota o una motivazione sentimentale.
Realizzi personalmente questi manufatti? Mi piacerebbe che tu descrivessi la sedia su cui lavori, l’ambiente, i gesti, i tempi con cui vengono realizzati…
Si, i quaderni sono realizzati a mano da me e ultimamente un’amica mi sta aiutando. Lei dice che sta imparando, secondo me è più brava di me, è lei che ha illustrato alcuni quaderni che si chiamano “Cunto di Mare”, sono fatti di carta delle pescherie e contengono all’interno un racconto della tradizione popolare che parla di mare. Lei si chiama Nina Melan e diventerà un giorno una grande illustratrice e i racconti sono scelti da Alberto Nicolino che sta portando avanti a Palermo un interessante progetto, un centro di ricerca sulle fiabe. E’ bello, anche, che si creino sinergie e il lavoro manuale, lento, piccolo, permette di insistere sulla qualità del manufatto, del processo e della collaborazione. Inoltre i quaderni contengono sempre una foto dei mercati, un frammento che riporta con una sola immagine al mondo da cui le carte provengono.
Questo racconto visivo, per i CARNEt de Reves (quaderni realizzati in eterea carta per la carne) è stato tradotto in foto dal lavoro di una fotografa siciliana che ora vive in Spagna, Silvia Renda, che ha passeggiato per lungo tempo, l’inverno scorso, tra i banchi dei mercati alle prime luci dell’alba per catturarne il risveglio, l’incipit di uno spettacolo che da secoli si inscena ogni giorno, anche alla vigilia di Natale! Poi dice che al sud non si lavora.
I quaderni li realizzo nella mia casa-laboratorio, nella sala centrale, dove nei momenti di massimo lavoro ci sono carte sparse ovunque, la macchina da cucire con cui vengono rilegati, l’inseparabile taglierino e la squadra, colori, timbri, pennelli, colle, il computer che trasmette a singhiozzo Radio3 perché la connessione funziona male. Il tavolo da pranzo è il protagonista assoluto di questi match di carta e tutt’attorno le fantastiche sedie da taverna di legno marrone verniciato, di cui parlavo prima e su cui sono seduta adesso. I gesti a volte sono ripetitivi, le piegature della carte, la cucitura a macchina, perché comunque i quaderni vengono realizzati in piccole serie di 10-20 pezzi. Nella ripetizione ho trovato il principio della meditazione zen, a volte mi si annulla il pensiero, se non diventa faticoso fisicamente e alienante, come immagino possa essere il lavoro in fabbrica, è addirittura terapeutico. E poi è bello ascoltare il rumore della carta o della macchina da cucire.
Ora se ti va ti faccio qualche domanda personale e un po’ buffa. Ti chiedo di giocare. Per immagine, se tu fossi una seduta, saresti una sedia, una poltrona, uno sgabello, un divano, una sdraio…?
Se fossi una seduta sarei una sdraio, perché mi ricorda il mare e non a caso sono venuta a Palermo, per poter vivere vicino al mare. D’estate è bello sedersi sulla sdraio in terrazza e accompagnare con lo sguardo il tramonto del sole che cala dietro le montagne che circondano la città, magari accompagnando il tutto con una birra ghiacciata. Oppure più che una sedia mi sento un sellino di bici, trovo sia la seduta perfetta perché mi permette di spostarmi velocemente e comodamente. Il sellino della mia bici è nero e la bici è rosa, moooolto palermitano. Con degli amici organizziamo dei giri per esplorare Palermo seduti in bici, il progetto si chiama Palermo By Bike e vuole dare spazio a questo mezzo di trasporto dotato di seduta che sarebbe perfetto per una città pianeggiante e invasa dalle macchine quale è Palermo.
Hai mai incontrato persone che son state per te una sedia?
Ci sono persone che sono per me divani, o dondoli, amici con cui giocare e con cui mi sono seduta su delle panche a mangiare in campagna.
Ci regali una sedia della tua vita?
La cassapanca a casa di mia nonna Carmela, su cui salivamo da piccoli per decantare le poesie a Natale e a Pasqua, una sorta di palco improvvisato su cui sono salite almeno due generazioni di cugini e poi la poltrona su cui sedeva mio nonno Vito sulle cui ginocchia io a mia volta da piccola sedevo.
Niente, alla fine, devo ammetterlo, sono veramente una nostalgica.
Info:
Un progetto davvero originale, ricco di vita e cultura popolare. Un riciclo afficace e bello.
molto intrigante anche l’incrocio con il racconto e l’illustrazione… e poi belli, bel fatti
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