Quelle che vedete qui sopra sono sedie protagoniste di uno strano fenomeno: EVNI, Evento Vivificante Non Identificato. Potevamo non approfondire?
Le ha pensate e realizzate Umberto Dattola, incontrato per caso girovagando di link in link tra gli eventi del Fuori Salone 2013. “Attraverso la mia opera voglio raccontare, raccontarmi, creare suggestioni e cercare nel profondo attraverso gli oggetti” – scrive. Quest’uomo sembra proprio disegnato per il nostro blog, i suoi oggetti non sono solo strani, immaginifici, ma anche protagonisti di vere e proprie narrazioni.
Sul sito della sua azienda si presenta così:
“Il mio percorso professionale ed artistico credo sia originale, mi sono laureato alla fine degli anni ’90 a pieni voti in Economia e Commercio all’Università degli Studi di Brescia, per diplomarmi subito dopo alla Scuola del Mobile d’Arte di Bovolone (VR). Agli inizi degli anni 2000 ho cercato di impadronirmi delle tecniche di lavorazione del legno, lavorando in diverse falegnamerie del Veneto e della Lombardia, per poi fondare la Sensibili al Legno. Dal 2009 disegno e costruisco, principalmente per Clab4design, ma anche per altre aziende, mobili e complementi d’arredo, a cavallo tra arte e design (…)”.
Non ci basta, facciamolo accomodare.
…mmm… domanda difficile. Non riesco a trovare una risposta adeguata.
Mettiamola così, mi piace costruire soprattutto mobili, quando questi sono su richiesta qualcuno dice che mi occupo di falegnameria; quando questi mobili sono replicabili, sono pubblicati e vengono inseriti sul catalogo Clab4design, qualcun altro dice che mi occupo di design; quando a questi mobili sottraggo la loro funzione primaria e attribuisco loro significati altri, qualcun altro ancora mi chiama artista e forse questa è la definizione che nella mia testa suona meglio, è più comoda, riesce ad evocare lunghi pomeriggi d’infanzia in cui il costruire oggetti con l’unico scopo di essere ammirati mi proiettava in una dimensione interiore senza spazio e senza tempo.
Partiamo dal progetto che hai presentato quest’anno al Fuori Salone: EVNI. Di cosa si tratta?
Focus della mia indagine sono gli oggetti che ci accompagnano durante il nostro transito terreno, quelli ai quali ci affezioniamo, che vivono la nostra quotidianità, assistono alle vicende della nostra vita. Mi domando da dove proviene la strana aurea che avvolge questi oggetti, le sensazioni che trasmettono, si tratta solo del carisma da essi acquisito nel tempo o contengono qualcosa in più magari derivante dalle sensazioni e gli stati d’animo assorbiti durante la frequentazione con noi stessi? E questo bagaglio di sentimenti, dove va a finire quando noi non ci siamo più? Possono continuare grazie a questi oggetti che di conseguenza si caricano di una qualche forma di vita?
EVNI è l’acronimo di Evento Vivificante Non Identificato, ho immaginato un evento che permette ai mobili di modificare le forme, alzarsi verso l’alto e continuare le passioni di chi li ha posseduti.
Ho avuto bisogno però di scrivere tutto in maniera più estesa, di avvalermi delle storie delle persone, di raccontare per poter spiegare tutto questo. A gennaio è uscito il libro EVNI – I sentimenti delle cose.
Il Fuori Salone è frequentato da addetti ai lavori, modaioli di varie specie, cittadini curiosi. Tu hai esposto in più di una situazione. Di cosa si trattava e che riscontri hai avuto?
La location più generosa è stata sicuramente quella in Ventura Lambrate al Ventura Warehouse, certamente anche grazie all’alto livello dei designer selezionati e dell’attenta organizzazione che ha molto creduto nelle mie opere. Lì ho presentato le opere EVNI classiche che hanno avuto davvero un successo inaspettato.
Lì vicino ho presentato “EVNI – Possibile Evolution” sperimentazione di possibili evoluzioni del progetto EVNI; organizzazione diversa e risultati più deludenti, certo la disposizione e la location erano realmente improvvisate.
Alla Fabbrica del Vapore, alla mostra Bla Bla curata da Alessandro Mendini e Duilio Forte ho presentato la mia macchina da guerra MACNI (Manufatto Calciante Non Identificato). Gli oggetti presentati alla mostra credo fossero intorno ai 160 e MACNI ha vinto il premio SWART assegnato da Cesare Castelli, Alessandro Guerriero e Duilio Forte. Per me è stata una grande soddisfazione.
Infine al MIR a Sesto San Giovanni ho presentato una nuova versione dello Sgabellox, la quale ha riscosso per me incoraggianti apprezzamenti.
ENVI è diventato anche lo spettacolo Installazione Teatrale, che hai scritto e diretto. Da dove nasce questa tua “urgenza narrativa” che esprimi in molteplici linguaggi?
Anche questa è una domanda che trovo difficile. Facciamo così ti do tre risposte ed il lettore sceglierà quella che preferisce.
A) Convivo da sempre con un’inquietudine interiore che mi spinge a non fermarmi, a non sedermi, mai. L’unico modo di gestirla è focalizzarmi su un qualcosa da fare, curarlo nei dettagli, aggiungere elementi, sottrarre sbavature, maniacalmente curare i particolari facendo nascere un qualcosa di concreto da poter toccare, da poterne verificare l’esistenza sul piano empirico, passare dall’immaginazione al prodotto finito, e così infine, se il risultato è soddisfacente, poter provare una piccola emozione che mi faccia sentire fare parte di qualcosa di più grande di me. Ecco in quei brevi, infinitesimali, momenti riesco a fermarmi e ad esistere.
B) Il mio cuore contiene così tanto amore che esso straripa in innumerevoli rivoli e modi per poterlo esprimere. Spesso ho la sensazione che le idee vaghino nell’etere libere, in continuazione ed in gran numero. Sono le nostre emozioni che le acchiappano come con un retino per farfalle, per dar sfogo alla loro urgenza di manifestarsi.
C) Devo ogni giorno inventarmi qualcosa per poter sbarcare il lunario continuando a fare quello che c@@@o voglio.
Nel tuo percorso professionale così particolare colgo anche la necessità di restare ancorato alla realtà. Forse mi sbaglio, ma mi sembra quasi che tu voglia controbilanciare la volatilità delle parole, delle storie e del tempo con la solidità della materia (il legno) e di un progetto aziendale concreto, che si confronta con il mercato. E’ forzata questa lettura? Non farti problemi a smentirmi…
No è assolutamente una lettura corretta e mi fa piacere tu l’abbia colta.
Per me il lavoro manuale, imparare un mestiere, il sudore, la fatica, il toccare la materia e vederla modificare, seguire l’intero ciclo di lavorazione, ottenere un risultato tangibile, sono stati una terapia. Sono riusciti a fare da contraltare ad un’innata predisposizione alla cervelloticità, sono riusciti a focalizzare ed indirizzare energie, a rendermi più autentico ed onesto soprattutto con me stesso.
C’è una forte componente ludica nei tuoi lavori. Anche il tuo progetto Aerodito, come tutto ciò che crei, parte da una storia: “Il designer di questo oggetto ha solo nove anni. Un giorno è tornato a casa con un modellino costruito con della carta, piegata e ritagliata in modo da poterci infilare un dito e comandarlo in questo modo. Il modellino aveva già un nome: Aerodito. Mi ha semplicemente detto: “vuoi salire e provarlo?”. Su sue indicazioni l’ho costruito in legno e colorato con colori vivaci”. Il designer si chiama Francesco, è tuo figlio e ne parli in modo dolce qui. Che rapporto avete? Chi influenza chi?
Credo avvenga per tutti i papà, lui mi influenza tantissimo, non tanto per quanto riguarda i singoli progetti, quanto per la maturazione e lo stupore che continua a produrre in me.
Ricordo quando era piccolo piccolo, quando di notte piangeva o chiamava, ero veloce nel destarmi ed alzarmi dal letto. Quel compito mi faceva sentire importante, ero riconoscente al bambino di darmi la possibilità di cercare di essere un buon padre ed in definitiva una buona persona. E questo continua, le mie azioni, il mio lavoro è guidato anche dalla volontà di voler essere un buon esempio per lui, consapevole del fatto che sarò la prima persona alla quale guarderà. E’ con questa responsabilità che tento di dare il meglio di me.
Come vedi il mondo del design (Milano e gli altri circuiti internazionali) dalle colline della Franciacorta?
Fortunatamente vivo in un posto davvero molto bello e tranquillo. Adoro tornare a casa, magari dopo una giornata passata in una metropoli frenetica, aprire lo sportello dell’auto ed essere invaso dall’odore del bosco, sentir fischiare le orecchie per il troppo silenzio, sentire intorno a me la tranquilla quiete dell’ingenua bellezza di questi posti. Da qui posso relativizzare le cose e forse riuscire a vederle con maggior distacco.
Il rischio però è di isolarsi troppo, autoreferenziarsi e di conseguenza chiudersi. Per questo, credo, per poter godere davvero a pieno la provincia, bisogna uscire per poi tornare, frequentare opportunità differenti per apprezzare i lati positivi del piccolo borgo.
Da quello che leggo sul sito, Clab4design è un’azienda fortemente orientata all’artigianato e alla ricerca sul pezzo unico. Mi piace pensare te e i tuoi collaboratori seduti insieme al cliente a discutere del progetto… Ci racconti quali sono state le richieste più strane, i risultati che ti hanno maggiormente soddisfatto, le tue eventuali frustrazioni?
Quando lavori sul pezzo su misura tutto è strano e di conseguenza niente è strano.
Le soddisfazioni in realtà le provo per ogni progetto portato a termine, ogni volta mi sorprende essere passati da qualcosa che esisteva solo nell’immaginazione a qualcosa di concreto che esiste anche nella realtà.
Le frustrazioni le provo più per fattori sistemici legati alla contingenza che credo tocchino chiunque abbia una attività autonoma. Ed in più in questi ultimi anni provo frustrazione a causa di quel senso di pigrizia ed arrendevolezza che sento prevalere nel nostro paese, all’incapacità di sognare che frena l’audacia.
Ora si parla tanto di makers, di ecologia, di glocalizzazione. Quanto è moda? Quanto è futuro?
Penso che il futuro vedrà sempre più crescere la richiesta, da parte del consumatore finale, di prodotti personalizzati attraverso i quali esprimere la propria identità. Per questo credo che chi riuscirà al meglio ad interpretare questa pulsione avrà maggiori risultati.
Fino ad ora siamo stati seri, adesso tocca alle domande bizzarre. Giochiamo con le similitudini… Per immagine, se tu fossi una seduta, saresti una sedia, una poltrona, uno sgabello, un divano o una sdraio?
Ecco di questo sono sicuro! uno sgabello!… per sicurezza chiedo consiglio a mio figlio… dice una poltrona (è piccolo forse non ha capito la domanda)… Chiedo a mia moglie lei è la persona che mi conosce meglio… dice una sdraio (no spesso sono le persone più vicine a non conoscerci affatto)… meglio chiedere ad un amico, adesso telefono… dice ad una sedia (non capisce non mi conosce per niente dovrei riconsiderare la nostra amicizia)… la mamma, chi meglio della mamma conosce il proprio figlio … dice un divano…???
Ti vedi più la sedia su cui gli altri possono sedere o alla ricerca della sedia su cui sederti?
La seconda.
Nella tua vita hai mai incontrato persone che sono state per te una sedia?
Se intendiamo per sedia un luogo in cui riposare e riprendere energie, sicuramente molte. Tantissime mi hanno donato conforto ed un qualcosa di loro senza pretendere niente in cambio, per il puro gusto di farlo.
A caso pesco nella memoria: il mio allenatore di pallanuoto che mi ha insegnato l’attenzione verso le persone, la cura dei rapporti, la lealtà.
Ci regali una sedia della tua vita (un’immagine, un ricordo…)?
La sig.ra Maria siede su una sedia di legno impagliata, consumata ed ingrigita dalla salsedine. Guarda il mare in silenzio mentre ci aspetta, lo avrà contemplato miliardi di volte, ma sembra rapita. In lei la stessa calma del mare. La invidio per questo rapporto, la amo per quel bastarsi a vicenda tra lei e l’orizzonte.
(Syros – Grecia – Giugno 2007)
Concludiamo questa intervista con qualche frammento del racconto La poltrona della Iole, tratto dal libro EVNI – I sentimenti delle cose:
“La Iole”, cosi’ la chiamavano nella casa dell’avvocato Masini. La Iole era la domestica di casa, quella che era arrivata quasi bambina, timida e riservata e che, nel corso del tempo, divenne il cardine della famiglia (…) La sera, dopo aver sbrigato le ultime faccende, aver spento la televisione, riposto e ripulito il bicchiere ancora mezzo pieno di whisky scozzese dell’avvocato, fatto il giro delle serrature ed azionato il sistema di antifurto, la Iole si ritirava in camera sua. Al buio si metteva a sedere su una poltroncina bassa, di fronte alla finestra, in direzione del cielo. Chiudeva allora gli occhi e ricordava; riviveva interamente e intensamente pochi e unici momenti felici della sua vita, pochi istanti in cui aveva provato l’ebbrezza della libertà, il conforto dell’attenzione, la dolcezza dell’amore. (…) Quando la Iole, ormai troppo anziana, abbandonò la casa dell’avvocato Masini, l’unica cosa che volle portar via fu la poltroncina. Morì pochi anni dopo, con gli occhi chiusi, adagiata su di essa, i capelli scombinati come da un vento leggero.
Fu soggetto EVNI (…)”.
Info:
> www.clab4design.com
Ciao,che bello leggere,scoprire cose e persone così interessanti!!!Grazie
grazie Anonimo! chi sei? cosa fai? dove sei seduto ora?