Un filo che parte dall’Università di Prato, si dipana in un atelier sartoriale e fa un doppio giro intorno alla matita di un’illustratrice, per poi agganciarsi alla strumentazione sonora ed arrivare, attraverso la rete, fino a noi. Ecco i Ka Mate Ka Ora.
Non fingeremo di essere aggiornate sull’indie rock, ok? Non diremo di riconoscere echi shoegaze e dilatazioni slowcore. E a dirla tutta, quando ci hanno nominato i Codeine abbiamo googolato. Ciò che importa è che i Ka Mate Ka Ora ci sono piaciuti, come musicisti e come persone.
Li abbiamo incontrati in mezzo a un gruppo di ragazze, ognuna con un ruolo diverso ma tutte ad alto tasso di creatività e personalità. Li abbiamo incrociati in fotografie condivise su facebook, tag e battute e risate, e quasi li si immagina parlare tutti in contemporanea con l’accento toscano e l’aria rilassata delle prove e delle bozze. Noi, che traduciamo tutto in sedie, ci siamo inventate per questo gruppo di amici una stanza con tante sedute tutte diverse, una stanza con personalità e armonia d’insieme, colorata e divertente.
Oggi prendiamo tre di queste sedie e le intervistiamo, domani chissà, forse vi presenteremo anche le altre componenti di questa factory creativa toscana.
Però, prima di tutto, i Ka Mate Ka Ora vanno ascoltati.
Accomodatevi e diteci: chi siete? che cosa fate?
La più classica delle formazioni rock, anche se non suoniamo molto rock. Da poco si è aggiunto Lorenzo Cappelli alla chitarra, che ci accompagnerà nei live di promozione del nostro terzo disco e, speriamo, anche in seguito.
Il nome del gruppo viene dalle prime parole di un inno maori che spesso gli all blacks del rugby cantano sfidando la squadra avversaria. Non siamo né appassionati di rugby né di maori. Ci piaceva il significato “E’ la vita, è la morte”.
Il vostro è un genere musicale particolare, è l’elogio della lentezza. Noi siamo sedie, viviamo di lentezza. Forse era destino che voi entraste nel progetto Measachair.
Guarda, in realtà nella vita non siamo affatto persone “lente”, ci diamo da fare alla nostra velocità. Vivere lentamente è una sorta di privilegio, non possiamo permettercelo. C’è un po’ di invidia per le sedie come te. La lentezza non è staticità, prevede comunque un mutamento che, se hai la pazienza e il tempo di aspettare, potrai gustarti in modo più profondo. Come ti dicevo, nella vita di tutti i giorni ci tocca correre come quasi tutti, non abbiamo scelta. Nella musica potevamo scegliere. Tutto qui.
Dove siete seduti quando siete nella fase di preparazione dei pezzi?
Mentre componiamo l’unica costante è rappresentata dal fatto che Alberto è praticamente sempre appollaiato sul panchetto della batteria. Per il resto, fino ad ora non c’è mai stata una specie di regola. Piuttosto ci sono dei periodi, dei momenti, in cui un sacco di cose che ci piacciono ci vengono fuori quasi tutte insieme. E più ne vengono e più ti galvanizzi. E quando ti galvanizzi hai più fiducia in quello che fai, e si sa che la fiducia permette di far meglio le cose.
Allarghiamo il discorso oltre i Ka Mate. Per quello che posso osservare dall’acquario di facebook, mi piacete perché non vi relazionate solo con i fan e gli amanti della musica. Al contrario, mi sembrate una factory, un gruppo di amici che “lavorano/giocano” in un ambiente creativo fatto di immagini (Cuore di Cane), immagine (Clotilde Prato), musica (Voi).
Chiacchierando è emerso che Cuore di Cane si è occupata anche della copertina del disco in uscita a dicembre 2012. Non abbiamo resistito alla curiosità e dunque ecco l’illustrazione in anteprima assoluta. Bella vero?
Riuscite ad associare una seduta ai ruoli di ognuno o ai caratteri?
Ci sono sedie quando suonate? Hanno una funzione teatrale?
Il nostro concerto ideale è pieno di sedie. Tutte in platea, nessuna sul palco. La gente sta seduta e può concentrarsi sulla musica, lasciarsi trasportare. E non preoccuparsi del mal di schiena o dei piedi gonfi!
Ora giochiamo con le metafore, ci state a rispondere tutti e tre? Che sedie vi sentite?
Stefano: credo di essere una di quelle poltroncine che fanno massaggi o roba simile, dato che spesso il mio disturbo di ansia mi porta a far tremare tutto il mio corpo. Credo che se uno mi si sedesse sopra si rilasserebbe, beato lui.
Alberto: penso che sarei una sedia da ufficio, quella con le ruote. Se qualcosa non ti piace puoi sempre spostarti e girare su te stesso. Cambiare punti di vista aiuta.
Continuando a giocare, vi vedete più la sedia su cui gli altri possono sedere o alla ricerca della sedia su cui sedersi?
Carlo: l’una cosa non può escludere l’altra. Anche le sedie avranno pur bisogno di sedersi ogni tanto. O no?
Stefano: concordo con Carlo, non si escludono a vicenda anche se indubbiamente non mi piace sedermi su altre sedie.
Alberto: mi piacerebbe essere una sedia su cui si siedono gli altri, ma come hanno già detto Carlo e Stefano anche una sedia ha bisogno di un appoggio.
Nella vostra vita avete mai incontrato persone che son state per voi una sedia?
Carlo: si, anche se pochissime. E qualcuna mi si è pure sfilata di sotto il culo, facendomi battere una bella botta.
Stefano: pochissime, ma comodissime.
Alberto: si ce ne sono state. Alcune purtroppo sono diventate molto scomode.
Carlo: la sedia accanto al divano su cui si sedeva sempre mia nonna quando avrebbe fatto troppa fatica a tirarsi su dalla poltrona. Ci si addormentava flettendo il collo in avanti a tal punto che temevo potesse spezzarsi. Me la ricordo così, ma anche in migliaia di altri modi. A ben pensarci quasi sempre seduta. Le voglio ancora tanto bene.
Stefano: una sedia che ha fatto sempre paura è stata la sedia dell’arbitro di tennis, avevo sempre paura che toccasse a me fare l’arbitro durante i campionati giovanili a squadre con il timore di sbagliare tutte le decisioni e fare arrabbiare i giocatori.
Alberto: la piccola sedia di vimini che avevo nella mia camera. Ci sarò seduto sopra milioni di volte da bambino (ed anche quando ero un po’ più grandicello). Mi è rimasta impressa l’immagine di quando guardavo la televisione ed avevo il mio gatto a farmi compagnia proprio su quella sedia.
Info:
*Cuore di Cane
*Clotilde Prato
Mentre curiosavo sulla pagina facebook di Stefano quella stanza che ci siamo immaginate l’ho trovata. C’è una sedia sola, le altre stanno dietro l’obiettivo. Ma i colori sono proprio quelli del nostro disegno mentale.